Adoro Torino in questo momento: adoro il fermento che si respira, l’essenza alternativa, la
vitalità, gli incontri che sono fonte di continua meraviglia.
Bello l’incrocio delle passioni e dell’arte che si è
verificato sabato 9 giugno, alla LOVnight organizzata in Borgo Vanchiglia:
un’intero quartiere alle spalle del centro, chiuso al traffico per una sera ma
aperto alle persone.
140 tra negozi, studi di arte e design, laboratori, spazi di
pittori, fotografi e architetti, hanno aperto le loro porte al pubblico, in un
turbinio di musica, balli, parole e confronti. Tra piazze in cui si ballava con
musica a palla e pioggerellina folkloristica (perché, nelle situazioni più
alternative anche la pioggia diventa protagonista dell’evento creando
divertimento invece che noia), librerie con tappeti d’erba e danze del ventre,
il Borgo si è svelato nella sua anima più intensa, dando la possibilità di
scoprire luoghi nuovi.
Questa serata, semplicemente bella, però mi ha fatto pensare: ad
un fenomeno che si sta sempre più concretizzando nelle parole, nelle
manifestazioni, nelle intenzioni; è un movimento che si fa portavoce di questo
momento storico, dove le difficoltà del lavoro e dell’economia ci rendono più
fragili. E per sopravvivere occorre APRIRSI: al mondo e alle persone, creando
rete. Aprire la mente, ma aprire anche il proprio negozio, aprirsi alle
esperienze degli altri ma condividere le proprie, aprire le vie di accesso di un
quartiere ma aprire anche le vie di accesso alla conoscenza, in un fluire
costante di scambi e informazioni.
Fateci caso, ma la parola più usata e ripetuta dell’ultimo
periodo è OPEN. Non so se è solo una mia percezione, ma sento nell’aria il
desiderio di condivisione e apertura: dallo scambio si crea valore, si generano
idee e, perché no, lavoro e benessere e crescita, economica e morale. Una catena
del valore virtuosa.
VANCHIGLIA OPEN LAB , ma anche OPEN PD (Matteo Renzi docet), OPEN
SOURCE, e ancora OPEN EYES, un centro studi contro il bullismo e i rischi della
rete. Gli OPEN DAY si sprecano (recentemente Giugiaro ha aperto le porte alle
famiglie dei dipendenti…) e gli OPEN FORUM anche. Vi vengono in mente altri
esempi?
L’aspetto interessante è che questo “movimento open” spesso
acquista una valenza di recupero e soliditarietà sociale e L’OPEN si trasforma
in “CO-“, come una magia, e la vita pratica diventa un pizzico più semplice: molti
spazi di coworking, che si stanno sviluppando in modo consistente e
intelligente e che sono la declinazione businnes dell’apertura mentale, nascono
magari utilizzando spazi sottratti alla mafia, o recuperando luoghi
abbandonati. Ne ho visitati due in Torino: COWO/spazio 19 in Borgo Vanchiglia,
e TALENT GARDEN dalle parti di Piazza Statuto (http://torino.talentgarden.it/), e sono
rimasta entusiasta della passione creativa che si respira. E che dire degli
spazi di CO-HOUSING, dove si condividono i servizi e le incombenze quotidiane
in un’ottica di risparmio?
Perché il nodo sta li: per far parte di questo “movimento”
bisogna essere pronti, bisogna mettersi in gioco, bisogna sapere accettare le
critiche e saperle fare con garbo, bisogna trovare l’accordo ma esaltare le
differenze, bisogna comprendere “l’altro” senza snaturare sè stessi, bisogna
rispettare le altre idee ma avere la forza di esporre le nostre, bisogna
trovare soluzioni alternative e creative ma essere concreti. Probabilmente non
è da tutti, ma è per tutti. Proviamoci.
P.S.: le foto le ho realizzate davanti allo studio di TRULY DESIGN, un laboratorio artistico che parte dalla street art e arriva al design. Notevole. Andate a vedere il sito www.truly-design.com
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